In Italia con il termine "artistico" si indicano vari settori produttivi, che patiscono però una indeterminatezza terminologica che impedisce una chiara lettura dei fenomeni e una reale comprensione delle realtà in essere. Restauro, artigianato artistico, industria artistica, mobile d’arte, designer d’interni, solo per citare i termini più noti, indicano categorie professionali e filiere produttive indicate come autonome, che trovano perciò i propri riferimenti istituzionali in separate strutture di rappresentanza, spesso in antitesi fra loro.
L’industria "artistica", in quanto industria, siede così al tavolo della Confindustria, ma i problemi di una grande industria metalmeccanica con centinaia di addetti sono diversi a quelli di una "artistica" che ne ha solo qualche decina; l’artigiano "artista" siede al tavolo con altri artigiani, quali idraulici, elettricisti, eccetera, che hanno problemi di normative e di progettazione opposti alle sue; il Designer siede al tavolo con Ingegneri edili ed Architetti, che trattano questioni tecniche e cantieristiche il più delle volte avulse dalla sua competenza professionale, eccetera.
Il problema non si pone solo nella rappresentatività "verticale", che è quella che poi determina le linee politiche di sostegno all’impresa, ma anche nell’operatività "orizzontale": l’artigiano “artista” che produce mobili, per esempio, avrebbe sicuramente necessità di poter effettuare prototipazione con stampanti 3d, ma chi possiede tale competenza e tecnologia lavora per altri settori e difficilmente riesce ad interagire con lui. Insomma, esiste in Italia un settore portante dell’economia, che macina numeri da capogiro come fatturato ed export, che a parole tutti celebrano con l’obsoleta etichetta di “Made in Italy”, ma che nei fatti nessuno sostiene per l’impossibilità lessicale e concettuale di leggerne le dinamiche e capirne le problematiche.
Proviamo noi a mettere ordine proponendo un termine ed una definizione appropriate.
Il punto di partenza è questo: il fondamentale settore produttivo di cui stiamo trattando ha come oggetto la produzione della "bella forma".
Chiunque operi in questo settore, a prescindere dalla funzionalità e robustezza di ciò che produce, se sbaglia forma, non ne vende un solo pezzo e si ritrova con i magazzini pieni, le nuove tecnologie ferme, i nuovi materiali portati in discarica e i propri addetti inesorabilmente licenziati. Abbiamo citato per esteso le conseguenze perché, innovazione tecnologica e nuovi materiali sono il "mantra" che l’industriale e l’artigiano "artistico" si sentono ripetere nei vari tavoli istituzionali a cui siedono.
Qual è il problema? Per una industria che produce bulloni la forma è data a priori dalle norme UNI e ISO, per cui tutto il problema è acquisire nuove tecnologie che consentano la loro produzione in minor tempo e minor costo. Al contrario per una industria che produce mobili "d’arte" il tempo ed il costo non sono un problema, la forma invece si, perché è quella che i ricchi clienti dei mercati emergenti comprano, senza badare a spese. Bastano questi pochi esempi perché la questione disveli la sua complessità e la sua trasversalità, potremmo perciò dire così: esiste in Italia un ampio settore produttivo, che definiamo MANIFATTURA ARTISTICA, che ha come fine produrre la "bella forma". A questo settore appartengono tutti coloro, che a vario titolo e con varie competenze, hanno come scopo del proprio operare, appunto, la produzione della “bella forma”. Quindi artisti, designer, architetti, artigiani, ma anche ingegneri, informatici, periti tecnici, eccetera, se con il loro lavoro perseguono questo fine rientrano in questo settore, altrimenti appartengono a settori diversi. Un caso esemplare: la vetreria che si occupa delle finestre per l’edilizia e quella che produce vetrate in grisaglia e legatura a piombo, a parte la materia prima ed alcune normative, hanno ben poco in comune.
Se il fine del settore è la “bella forma” vuol dire che ad esso devono essere dedicati studi, ricerche, finanziamenti, ma anche laboratori, centri di ricerca universitari e accademici, insomma, al fine dev’essere dedicata la stessa mole di investimenti fatta fin qui sui mezzi, cioè le nuove tecnologie, che comunque rimangono imprescindibili, ma inutili se non si raggiunge, appunto, il fine formale.